Riflessioni sul Natale

Recuperiamo e ripostiamo questo breve saggio sul Natale di un nostro collaboratore. Buona lettura!

Tito Flavio Giuseppe (Titus Flavius Iosephus), nato Yosef ben Matityahu, fu uno storico, politico e militare romano d’ origine giudaica. Visse nel I secolo d.c., ed è la nostra fonte principale riguardo agli Aegyptica, opera maggiore del sacerdote egizio Manetone, già conosciuto da Plutarco, sebbene il dibattito circa la reale esistenza di questo personaggio storico sia ancora aperto.
Manetone sarebbe vissuto nel II secolo. a.c. e avrebbe scritto in greco. Costui ci riporta l’idea di un Mosè, il cui vero nome sarebbe stato Hosarsip, come sembrano confermare altre fonti antiche (Strabone, Filone ecc). Hosarsip fu un sacerdote osirideo, forse scampato alle persecuzioni contro la riforma solare di Akhenaton.

In Atti 7:22 sta scritto: “Così Mosè fu istruito in tutta la sapienza degli Egiziani, ed era potente in parole ed opere”.
Sempre Tito Flavio Giuseppe ci riporta una leggenda secondo la quale il faraone, vedendo Mosè crescere in forza e ardore, decise di affidare lui una missione militare contro il regno di Kush, nell’attuale Etiopia.
Kush era protetta su due lati da mura altissime, su di un terzo lato da un fossato di coccodrilli, su di un quarto da un fossato ricolmo di serpenti velenosi.
Mosè riuscì ad addestrare degli Ibis, che uccisero i serpenti e gli permisero di penetrare le mura cittadine. Lì poté trattare una pace incruenta, trionfando sulla città e prendendo in sposa la figlia
del Re Sacrale Jetrò.
La figura di Re Jetrò è altamente simbolica e rappresenta per l’Etiopia arcaica ciò che Melchisedech fu per il regno di Salem: il Signore di Pace e Giustizia, come nell’etimo stesso di Melchisedech.

Nel Vangelo di Matteo si nomina la vicenda dei Re Magi venuti a rendere onore al Bambino “dagli Orienti”, cioè dai Centri Sacri dell’Etiopia, della Persia e dell’India.
Secondo Silvano Panunzio vi fu un tempo una compenetrazione tra una Tradizione aria ed una semitica, a partire dal ciclo universale di Rama.
Il nome di Abramo, Ab-Ram, si collocherebbe in tale direzione. Così come l’egiziano Ramses, o il nome della tribù dei Ramnensi, che insieme a Tizi e Luceri sono tra le genti fondatrici di Roma; e così via.
Il nome di Abramo sarebbe scomponibile in Ab e Ram. Ab, ossia “padre”, starebbe ad indicare nel nome Abramo quello di un patriarca – un “missionario” – dice Panunzio, di Rama e dei suoi successori.
Secondo il metafisico cattolico, seguendo le tesi del filologo Ernest Renan, il nome di Arphaxad, figlio di Sem e padre di Sela, indicherebbe non solo un personaggio dell’antico testamento, ma anche sia un luogo, sia una gens risiedente nel Pamir, l’altopiano dell’Asia Centrale dove appunto la tradizione degli Jafetiti e quella dei Semiti si incontrarono, o addirittura formarono un ceppo unico.
Scrive Panunzio: “La voce Arphaxad può avere due interpretazioni, una indoeuropea con Ar, l’altra semitica e mediterranea richiamante Orfeo (chi guarisce -rafà- mediante la luce -or-). Tale reincontro linguistico semitico-ariano si ritrova innumerevoli volte. Un esempio. A-ram è detto figlio di Sem: eppure riappare con lui la voce Ram. E gli Aramei finirono con l’identificarsi con gli abitanti della Siria; orbene Surya è, in sanscrito, il Dio solare dei Veda. L’ aramaico palestinese è, ricordiamolo, la lingua con cui si esprimeva il Signore Gesù”.
Ecco dunque, sulla tavola del mondo, la concordanza tra le famiglie di Cam (Etiopi), Sem (Akkadiani) e Jafet (Arii), nel riconoscimento della Tradizione Unica e Perenne, Primordiale.

Noi non sappiamo nulla dei moventi storici di Cristo e dei suoi seguaci, e nemmeno questi ci interessano: la spasmodica ricerca circa il Cristo storico rappresenta bene lo spirito moderno, positivistico e materialistico, che dimentica la ricerca del Cristo interiore.
Per quanto ci riguarda, la ricerca del Cristo storico ha lo stesso valore della ricerca delle prove storiche dell’esistenza di Apollo. Cioè NESSUNO. Ciò che ci interessa è il piano metafisico, e la profonda portata dei simboli che si muovono dietro il
cristianesimo. Gesù si pose nei confronti della tradizione ebraica alla stessa maniera di un Siddartha nei confronti di una tradizione brahminica: da un lato essi criticarono il formalismo in cui erano cadute le loro tradizioni di riferimento, rivendicando di esserne rappresentanti radicali -nel senso dell’andare alle radici- e dall’altro però nel riconoscimento della necessità di un superamento, in nuove forme tradizionali, che colpissero il bersaglio.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti…!
Serpenti, razza di vipere, come potrete
sfuggire alla condanna della Geenna?
(Matteo 23, 13.3)

E sempre Matteo 3,7-12 ci dice di più sulle vipere in questione, riportando le parole di Giovanni Battista:
“7 Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? 8 Fate dunque frutti degni di conversione, 9 e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. 10 Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 11 Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. 12 Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».

Allo stesso modo in cui il Buddah accusa i sacerdoti di essersi convinti della propria dignità per sole ragioni di casta e di formalismo rituale e nei costumi, allo stesso modo il Battista si rivolge ai farisei: “e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre.”

L’ universalità del cristianesimo si prepara con queste parole. E con esse si compie il trascendimento dell’ebraismo.
Guenon ebbe le sue ragioni nel considerare i primi seguaci di Cristo un Ordine Iniziatico, che fu infatti privo di un essoterismo (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”). Ragion per la quale subito il cristianesimo, nel cosmo conquistato da Alessandro Magno, si espresse in lingua greca e secondo le forme della filosofia ellenica. Il cristianesimo, in quanto tale, nacque ad Alessandria d’Egitto. Nacque in Egitto, paese che ritorna; nacque in forma greca e in riferimento ad un Dio incarnatosi a Betlemme. Il tutto pochi anni dopo che, nel Gandhara, l’arte ellenica veniva applicata a soggetti Buddhisti; e non dubitiamo del fatto che anche la sapienza dell’India potè fare il percorso inverso. Ecco che ritorna, al di sopra delle singole tradizioni, l’Unità Trascendente mediante una nuova Teofania. Una Teofania cosmica incarnatasi in Palestina, e che si diffuse mediante la filosofia greca e che si resse sulle colonne del patriziato romano.

E a nulla valgono le argomentazioni di quei detrattori del cristianesimo, che vedono in esso uno spirito universalistico estraneo al mondo europeo. Al contrario! Come ha abbondantemente dimostrato Marco Vannini, lo spirito universalistico non è affatto ebraico, ma greco: per gli ebrei il Dio è un Dio etnico. Per i greci la Verità è tale solo quando universale!
Per questo la Rivelazione cristiana ha il carattere di universalità.

Fu l’imperatore Aureliano ad introdurre a Roma la festa del Dies Natali Solis Invicti, il 25 dicembre, in corrispondenza del solstizio d’inverno, per celebrare il culto del Sol Invictus. Giorno che poi divenne quello del Natale cristiano: non usurpando, ma mantenendo il proprio ruolo di simbologia solare. Fu infatti Costantino, anch’esso precedentemente devoto al Sol Invictus, a dedicare questa data alla nascita di Cristo.

Di nuovo Silvano Panunzio chiarisce:
“La Pasqua cristiana è legata ai riti di una liturgia precedente, valevole, limitatamente, per una particolare etnia. Il Natale è originale, svincolato da tutti i presupposti. È Rivelazione assoluta, valida in modo universale (..). Mentre la prima solennità rituale non oltrepassa l’orizzonte dei Piccoli Misteri umano-cosmici, il secondo ineffabile ciclo celebra, cosmicamente, il Vertice dei Grandi Misteri divini. La Pasqua è pur sempre legata alla trasposizione di una fenomenologia storica e geografica determinata; il Natale è completamente libero, perché celeste e non terrestre. La Pasqua è equinoziale seguendo le fasi della luna: è, in un plenilunio, la festa della Primavera. Il Natale è solstiziale e segna la festa del Grande Occulto Inverno”.

Con questo spostamento che è un ritorno alle origini ancestrali, l’asse della Civiltà universale dello Spirito passa oltre la linea dei Paralleli e appare trionfalmente, come all’alba della Terra e dell’Uomo, sulla linea dei meridiani. Invera quindi il Polo Supremo della centralità fisica e spirituale. San Bernardo era perfettamente consapevole di innestare la Rivelazione orientale biblica nel tronco più antico della Rivelazione Polare Iperborea. Così concepito questo Natale, direbbe Eckhart, non è solo unicamente cristiano, poiché Nascita Eterna”. (S.Panunzio – Vicinissimi a Dio).

Tutto ciò ben comprese Benedetto XVI che, nell’Angelus del 21 dicembre 2008 disse:
“La festa del Natale è legata al solstizio d’inverno,che cade proprio oggi, 21 dicembre, quando le giornate, nell’emisfero boreale, ricominciano ad allungarsi”. Ciò sottolinea che Cristo è il sole di grazia che, con la sua luce, trasfigura ed accende l’universo in attesa, e che il mistero del Natale ha anche una “dimensione cosmica”, oltre che “storica””.

Anziché retrocedere verso il giudaismo, ormai trasceso, ed anziché cedere allo scientismo, allo storicismo, al materialismo ed alla emotività femminea, è giunto il momento in cui il cristianesimo prenda coscienza della propria università Solare, Eterna e quindi senza Storia. È giunto il momento del Natale prima che della Pasqua, e della luce del Tabor prima del sangue del Golgotha.

Natale 2017

 

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