Louis Claude de Saint-Martin e la preghiera

Abbiamo l’onore di pubblicare un importante articolo, ricevuto da un lettore a noi conosciuto solo attraverso il suo ieronimo, sulla natura della preghiera in Louis Claude de Saint-Martin, meglio noto col titolo di Filosofo Incognito.

La preghiera è una scala con cui si può ascendere al cielo dei cieli”.

(Louis-Claude de Saint-Martin)

È noto che il lavoro del Martinista si muove sui tre piani del Pensiero, della Volontà e dell’Azione, intesi come le tre facoltà che l’uomo condivide con la Divinità ma che egli, in seguito alla metafisica caduta, deve far risorgere in sé. In un’altra occasione(1) si è rilevato che questi concetti erano noti a Saint-Martin fin da quando faceva parte degli Eletti Cohen; egli semplicemente ne modificò la valenza operativa, prendendo atto che, grazie all’intervento del Riparatore, non siamo più sotto la vecchia Legge ed una nuova Alleanza è oramai possibile tra l’Uomo ed il Divino.

Già negli Eletti Cohen, infatti, si insegnava: “Il Pensiero è uno, semplice ed indivisibile, come lo spirito che lo produce […] difatti gli assegniamo il numero 1; genera la Volontà senza la quale ogni pensiero sarebbe niente e non produrrebbe niente […] ma il Pensiero e la Volontà sarebbero nulla e non produrrebbero nessun effetto se non fossero messi in atto. È la facoltà produttrice dell’effetto che noi chiamiamo Azione”; “Dal momento che […] l’uomo è un’emanazione della Divinità, esso deve partecipare all’essenza stessa di questa Divinità ed alle sue facoltà”(2).

Lo studio di Jacob Böhme suggerì poi al Fil. Inc. una prospettiva genuinamente gnostica: “Tutte le nostre dispute e speculazioni intellettuali sui misteri divini sono inutili, poiché derivano da fonti esteriori. I Misteri di Dio possono essere noti solo a Dio e per conoscerli dobbiamo innanzitutto cercare Dio nel nostro stesso centro. La nostra ragione e la nostra volontà devono fare ritorno alla fonte interiore da cui hanno origine”; “la Fede è il risultato della percezione diretta della verità, udita e compresa da un senso interiore, insegnata dallo Spirito Santo”.

Queste letture permisero a Saint-Martin di fare il salto da una visione mosaica ad una visione cristica della Divinità, il cui asse portante è la preghiera. Ma quale preghiera?

Il Filosofo Incognito argomenta che “se la natura è come l’iniziazione di tutte le verità, la preghiera è come la sua consumazione, perché le contiene tutte in sé. E perché le contiene tutte in sé? Perché essa imbeve la nostra anima di questo sacro incantesimo, di questo magismo divino che è la vita segreta di tutti gli esseri […] Ma quando è che la preghiera raggiunge realmente questo termine sublime? È quando arriviamo a fare delle preghiere che pregano esse stesse in noi e per noi e non queste preghiere che siamo obbligati a puntellare da tutte le parti, ricavandole da delle formule o da delle puerili e puntigliose abitudini”.

La preghiera secondo Saint-Martin è, più precisamente, “la principale religione dell’uomo, poiché è essa che rilega il nostro cuore al nostro spirito; è solo perché il nostro cuore ed il nostro spirito non sono legati che commettiamo così tante imprudenze e viviamo in mezzo a così tante tenebre e così tante illusioni”. Non si tratta quindi di una formula identificata in un rito od un culto specifico: tutte le tecniche e le costruzioni teologiche, per valide o meno che siano, sono un elemento accidentale dato dalla necessità di adattare la Gnosi ad un uditorio ben definito dal punto di vista culturale, linguistico ed ambientale (3).

Nello stesso senso, altrettanto censurabile per il Filosofo Incognito è la preghiera praticata in ambiti occultistici finalizzata ad ottenere apparizioni e commerciare con gli spiriti. “Dove sono – si chiede Saint-Martin – quelli che non domandino altri miracoli, come fu rimproverato ai Giudei, ma che neppure si limitino a cercare la saggezza dell’intelletto come i Gentili, e che però si immergano in questo abisso immenso della preghiera abbastanza da sperimentare che effettivamente tutto ciò che non è legato a questa religione attiva e vivente non è che un fantasma? Dove sono quelli che riconoscano quanto il gusto del meraviglioso assorba e nasconda per noi le meraviglie che potremmo incontrare nella preghiera?”.

Il messaggio di Saint-Martin, tuttora valido, è insomma che “era molto meglio, nella nostra preghiera, sprofondare in silenzio nella comunione con la presenza dell’Eterno, che era molto più importante ascoltare colui che abita in noi, unire le nostre forze per elevarci alla contemplazione della santità radiosa dell’Amore, piuttosto che divagare in invocazioni inutili e talvolta anche pericolose”(4). Perché, del resto, inserire inutili astrusità in qualcosa che Saint-Martin considera “il respiro della nostra anima”; una funzione naturale, continua, discreta e che richiede una consapevolezza figlia del silenzio e della tranquillità interiore. È meno un mezzo che un fine: la vera preghiera è una ricompensa, che si ottiene quando ci liberiamo delle formule mandate a memoria, dai turbamenti del nostro corpo fisico, eterico, astrale e mentale, e possiamo così avere contatto col nostro daimon, il Sé.

Grande importanza va dunque riconosciuta alla purificazione, per consentire al Divino l’accesso in noi: “Purificati, chiedi, ricevi, agisci: tutta l’Opera è in questi quattro tempi”; “Il segreto dell’avanzamento dell’uomo consiste nella sua preghiera; il segreto della sua preghiera nella sua preparazione, il segreto della preparazione in una condotta pura; il segreto di una condotta pura, nel timore di Dio; il segreto del timore di Dio nel suo amore, perché l’amore è il principio e il focolare di tutti i segreti, di tutte le preghiere e di tutte le virtù”.

Si conferma insomma che questo processo di genuina alchimia interiore non ha nulla a che vedere con le giaculatorie delle varie chiese, né con un atteggiamento meramente passivo e devozionale. In buona sostanza, quando è l’ego a pregare potremo ricevere o non ricevere il bene sperato, oggetto della nostra supplica: in ogni caso, non si tratterà di una preghiera intesa nel senso proposto da Saint-Martin.

Ciò non significa che l’uomo non abbia il diritto di chiedere alla Divinità di realizzare una condizione che identificata (magari a torto) come benefica per sé o per il prossimo: finché viviamo sul piano fenomenico, la retta azione è un dovere sacro oltre che, come detto, una facoltà dell’anima che abbiamo in comune con la Divinità. Come ha scritto il Fr::: Igneus: “Spesso, di un pensiero complesso e profondo e virile come quello di Saint-Martin rimane solo un vago dormiveglia falsamente misticheggiante, un quietismo tanto dolce da essere stucchevole, una sorta di caramella molle al lampone, per palati dalle gengive deboli”(5).

Si verificano peraltro delle imponderabili “congiunzioni astrali” in cui la nostra volontà, l’utilizzo accorto della tecnica, l’intervento dei Maestri passati in nostro favore unitamente alla benevolenza divina fanno in modo che si riaffacci la memoria del Sé, con una fusione istantanea tra l’orante, l’orazione e del Destinatario della medesima. “Ecco il modello della nostra preghiera, che non ottiene nulla se non ha acquisito questo carattere di unità attiva che la porta al di sopra del tempo e la rende come il canale naturale delle meraviglie dell’eternità: poiché è essa che, premendo così in tutti i nostri canali spirituali, li depura di tutta la loro corruzione e li mette in condizione di ricevere tutti i tesori che devono trasmetterci”(6).

Questi tesori sono descritti da Saint-Martin ne “L’Uomo di Desiderio” e sono destinati ad una condivisione, da parte del Martinista in via di Rigenerazione, con il prossimo: “Tu proverai che l’uomo è incomparabilmente più amato che odiato. Tu sentirai il tuo corpo acquistare un dolce calore, che gli procurerà alla fine l’agilità e la salute. Sentirai la tua intelligenza svilupparsi e portare la tua vista a distanze così prodigiose che sarai preso d’ammirazione per l’autore di tante meraviglie. Sentirai il tuo cuore schiudersi a gioie così incantevoli, che scoppierebbe se esse si prolungassero maggiormente nel tempo. I felici frutti che risulteranno da queste divine emozioni, dopo averti così vivificato, ti renderanno atto a vivificare i tuoi simili a loro volta. Ma questa preghiera, così efficace, può mai venire da noi? Non bisogna che ci sia suggerita? Pensiamo solamente ad ascoltarla con attenzione, ed a ripeterla con esattezza. Chi ci farà dono d’essere come un fanciullo riguardo alla voce che ce le suggerisce? […] Immagine vera, immagine dolce di ciò che abbiamo da fare con la guida che non ci lascia […] Felici, felici se le nostre distrazioni non ci impedissero così spesso di udirlo!”.

 

Claude Purusha, S    I

NOTE:

(1) Cfr. Claude Purusha, La Via interiore secondo L.C. de Saint-Martin, in www.esonet.org.

(2) Dalle Istruzioni di Lione.

(3) Diversa però, lo rileviamo qui en passant, è la valutazione sulla carica energetica di una formula antica, carica acquisti appunto per l’uso prolungato nei secoli da parte di operatori qualificati (ad esempio, per quanto riguarda la recitazione dei Salmi in latino)

(4) Si veda Jean-Marc Vivenza, La pratique de la prière intérieure pour conduire l’âme à l’union avec Dieu, in www.paperblog.fr.

(5) Igneus, Storia e metastoria del Martinismo, in www.fuocosacro.com.

(6) Louis Claude de Saint-Martin, La prière selon Louis-Claude de Saint-Martin, in www.philosophe-inconnu.com

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