Appunti protopolitici/Sulla libertà

APPUNTI PROTOPOLITICI/SULLA LIBERTÀ

La parola più pronunciata in quest’epoca è “libertà”.
Cos’è la libertà? Essa è un bene che può essere posseduto in terra, oppure è cosa del Cielo?
Col concetto di libertà l’oggi vuole intendere soprattutto la possibilità dell’individuo di giungere ad una qualche autorealizzazione. Dove però questa autorealizzazione viene intesa come il compimento del desiderio – o degli infiniti desideri individuali.
Ma il desiderio e la sua realizzazione, sono compatibili con la libertà?
Oltre i desideri fondamentali, quelli cioè strettamente correlati alla sopravvivenza, esiste una moltitudine di desideri indotti.
Indotti sia dalla sfera del sociale, sia dalla spinta consumistica. Questo tipo di desideri agiscono sull’uomo in maniera tipicamente vampirica: divengono ossia delle vere e proprie p-ossessioni.
Essi si strutturano sulla base dell’immaginario. E l’immaginario, oltre a fondarsi sul vissuto di ciascuno, è altresì plasmato dall’esterno: dalla propaganda politica, da quella commerciale, da aspetti legati all’identità.
La società di oggi ha la forma del mercato: essa si settorializza in molteplici identità, ognuna delle quali oltre a generare immaginario, e quindi anche desiderio, si presta ad essere facilmente ingaggiabile da quei poteri che, avendo la possibilità ed i meccanismi a disposizione, possono trarne profitto. Non solo ogni soggetto sceglie di volta in volta uno spazio identitario nel quale incasellarsi, ma pretende di avere uno status tale di singolarità, che giunge a rivendicare come un diritto l’espressione delle molteplici identità che di volta in volta lo possiedono, costruendolo come fantoccio disorganico e disarticolato.
Il desiderio si fa automaticamente diritto.
A partire da questo è molto facile notare come ciò che oggi è definito col termine “libertà”, non è altro che una forma di schiavitù.

Vi è dunque una catena, formata da immaginario, desiderio, identità e pretesa di diritto, che imprigiona l’uomo contemporaneo nella sua angusta prigione dorata.
Rettificare il tipo umano contemporaneo, e dunque la civiltà che egli è in grado di formare, passa necessariamente attraverso la rottura di questa catena.
Tentiamo di colpire col nostro martello un anello dopo l’altro. A ritroso.

DIRITTI
I diritti del soggetto, che cosa sono?
Innanzitutto: esiste un soggetto?
Questa zuppa rancida composta di carne, organi, impressioni, pensieri, desideri, sarebbe il soggetto cui dovremmo tributare dei diritti? Questo mostro dalle mille teste, sarebbe l’individuo del quale assecondare i variopinti capricci?
No. Semmai questo soggetto, questo individuo, in breve: l’agitazione, o l’ assatanamento di consumo da parte dell’ego, è precisamente ciò che dovremmo considerare il nemico.
Contrapporre all’ego lo Spirito.
L’accento va posto sullo slancio verso uno scavare in sé alla ricerca di ciò che è Assoluto, Universale, Incondizionato.
Se da questo punto di vista le vie spirituali, le religioni, le vere filosofie, hanno offerto e ancora possono offrire all’Uomo (e non ai molteplici soggetti, che banalmente sono insostanziali) una risoluzione della tensione vitale nella beatitudine, dal punto di vista mondano le cose si complicano non poco.
Il cristianesimo ha insegnato che Adamo, progenitore di tutti, è perciò esso stesso l’umanità.
In alcune tradizioni, essendo il Golgotha per l’appunto il “monte del cranio”, si è preso a rappresentare la croce ai cui piedi è posto un teschio, che è il capo d’Adamo, la cui caduta il Cristo veniva a riparare. Il corpo d’Adamo è dunque l’umanità stessa. Ed esso è la primigenità da cui procede la molteplicità degli uomini.
Con la caduta d’Adamo, la caduta degli uomini. Con la venuta del Cristo, la via per la risalita.
Dunque, oltre questa molteplicità in terra, oltre questo divenire, c’è l’essere affratellati nella natura adamitica, e nella natura cristica.
L’antica tripartizione tra materia, anima (trascendentale) e Spirito (trascendente), dovrebbe chiarire l’antropologia cui ci rivolgiamo. Oltre il corpo e oltre la psiche, c’è l’elemento Spirito. Il quale non è attributo individuale, ma è invece un universale nel quale ogni uomo è affratellato, e che risiede nel fondo del cuore di ciascuno. Non solo: nell’al di là di tutte le caratterizzazioni, sub specie aeternitatis, un uomo ed un altro uomo sono sostanzialmente inseparabili, ossia non considerabili come assolute singolarità distinte.
Così dunque è impossibile pensare ad un uomo di Spirito che non comprenda la sua inseparatezza dagli altri Uomini, poiché fine dell’uomo di Spirito è il superamento appunto della mente separativa.
Ecco la necessità di un’azione solidaristica. Al cui fondo c’è un senso di compassione, inteso non come sentimento pietistico, ma come una lucida consapevolezza della comune condizione umana in terra.
Cosa caratterizza più di tutto la condizione umana in terra? Il dolore. La sofferenza.
Ogni uomo infatti soffre. Che ciò accada per l’assenza degli elementi essenziali alla vita, o per l’ossessione subìta dal desiderio, il dato di fatto è che ogni uomo soffre.
Ecco dunque che, al posto dei diritti dell’individuo, ossia dei desideri dell’individuo, ciò che proponiamo è il dovere nei confronti del prossimo.
Attenzione: non parliamo di dovere inteso come un dovere civico o qualcosa del genere. In quel caso, resteremmo schiavi del concetto di soggetto: dai diritti dell’individuo ai doveri dell’individuo non ci sarebbe un cambio di piano.
No. Noi proponiamo di porre dei doveri dell’uomo nei confronti dell’uomo, come fondamento del vivere insieme, e del tendere insieme all’Assoluto. Chi vede in queste parole l’influenza di Simone Weil, è nel giusto. Ma noi intenderemo andare anche oltre. Il dovere dell’uomo nei confronti dell’uomo è il com-patire, il patire insieme, e quindi l’impegno a lenìre le sofferenze proprie e del prossimo, in vista del sommo Bene.

IDENTITÀ
L’identità è nuovamente qualcosa di problematico. Essa si sviluppa in base al vissuto ed all’immaginario, ma risponde anche a due bisogni umanissimi: il bisogno di sentirsi in comunione con altri, il bisogno di dare un senso al proprio vivere.
Se si analizza in completa sincerità il tema dell’identità, si vedrà che essa però ha più a che fare col voler essere che con l’essere. L’ego desiderante in ciò è sempre attivo.
L’identitarismo contemporaneo, sia come atteggiamento, sia come dottrina politica, non sfugge a questo problema.
Un uomo dai capelli rossi, seguita forse a ripetere a ogni piè sospinto “ehi guardate tutti: ho i capelli rossi…”? No. L’identità è esser-ci, e non proclamare.
L’identitarismo finisce coll’essere la nostalgia per una identità perduta o più probabilmente mai posseduta.
Nostalgia la quale diviene fondamento per una identità ulteriore, ma ideologica.
Possiamo dunque distinguere tra una identità “buona”, che ha a che fare coll’esser-ci, ed una identità “cattiva”, che ha a che fare col voler essere.
La prima impone un’accettazione della propria condizione, del proprio fato, del proprio vivere, la seconda è di nuovo una p-ossessione: è l’ego desiderante che cerca spazi di sopravvivenza, slanciandosi verso un altrove.
La prima è propria dell’uomo saldo, ben radicato nel proprio contesto culturale, sociale, territoriale, ossia in quegli elementi che ne determinano la personalità. La seconda è propria dell’uomo capitalistico, che consuma identità come prodotti: le indossa come vestiti. Proprio come persino gli abiti -quindi l’immaginario estetico-, divengono fondamentali nella rappresentazione di sé all’interno di questo o quel gruppo umano, di questa o quella sottocultura, di questo o quel fronte ideologico.
Svilupperemo altrove il come la questione del radicamento può divenire essenziale nell’aiutare l’uomo a liberarsi dalle identità fittizie.

DESIDERIO
Il desiderio è il tormento dell’uomo.
L’uomo costantemente desidera: senza desiderio, l’ego si estinguerebbe.
La società capitalistica, o meglio ancora quella consumistica, si è retta sul desiderio. Ha moltiplicato i desideri ben oltre il sacrosanto mirare all’ottenimento degli strumenti essenziali alla vita. Il sistema produttivistico e consumistico si è retto sulla necessità di produrre bisogni indotti sempre nuovi. Un uomo creduto fortunato è oggi quello che può consumare più beni inessenziali possibili. Su tutto ciò si fonda il sistema economico attuale, che quindi con buone ragioni può essere definito diabolico, poiché alimentante all’infinito la mente separativa e le molteplici p-ossessioni.
L’ambizione dei singoli si indirizza sempre più verso il raggiungimento della maggiore capacità di consumo. Persino i rapporti sociali si costruiscono più sull’avere che sull’essere.
Questo sistema deve in ogni modo essere contrastato.
Bisogna individuare quali sono i bisogni essenziali per l’uomo. Essi si suddividono in bisogni materiali e bisogni psicologici, emotivi. Questi debbono essere centrali per un sistema economico altro. Ciò non deve far pensare a un triste pauperismo: la bellezza, il valore intrinseco negli oggetti frutto del lavoro e dell’arte, sono fondamentali perché l’uomo possa vivere una vita degna. Meno consumo, ma di più alta qualità. Di maggior durevolezza, soprattutto. I beni non debbono essere consumati, ma contemplati nell’uso.
E così anche quel consumismo nei rapporti umani, e nelle esperienze, tipico dell’homo oeconomicus, deve essere frenato, congelato in uno stato di contemplazione.

IMMAGINARIO
L’immaginario è quel paesaggio mentale che in noi si genera sotto l’influsso del mondo esterno. Nell’epoca attuale, il nostro immaginario è fortissimamente influenzato dalla tempesta mediatica che ci viene scatenata contro. Immaginario pubblicitario, immaginario pornografico, immaginario filmico. Tutto contribuisce a fondare uno schema indotto entro il quale è costretto a muoversi il nostro pensiero, e con esso il nostro desiderio.
Per di più, con l’avanzare della tecnoscienza e l’imperversare di internet e dei social media, l’immaginario si è fatto immaginifico, rompendo un margine ulteriore.
Le opinioni si fondano ormai su narrazioni che nemmeno più sono racconti, di per sé imperfetti, del reale. Divengono invece narrazioni fondate su narrazioni, col reale confinato ad essere quasi un infinitesimamente piccolo e secondario.
Tali narrazioni raggiungono talvolta un livello spaventoso di fantasmagoricità. Divengono credenze, pseudoculti, superstizioni. E in quanto tali radicalmente polarizzanti.
È assolutamente necessario tentare di invertire questa tendenza, riaffermando il principio di realtà. Sebbene con la consapevolezza che la realtà medesima è instabile, ed è in mutamento. Non sarà possibile ignorare l’impatto che le tecnoscienze stanno avendo sull’essere umano. Ma quantomeno sarà necessario combattere tutto ciò che è fantasmatico, non farsene contaminare, liberando l’uomo dagli attacchi di ogni pensiero indotto, talvolta in cattiva fede e dall’esterno.

QUALE LIBERTÀ POSSIBILE?

In terra, l’unica libertà possibile è dunque una libertà -per così dire- negativa. Non la libertà di-, ma la libertà di non-. Ossia la libertà da-. Sul piano “sociopolitico”, la libertà è una decolonizzazione. È una liberazione collettiva da ogni p-ossessione indotta. Da ogni influenza culturale esterna ed esteriore. Da ogni colonizzazione economica proveniente da poteri esterni. La libertà è, sul piano personale, il distacco. L’assoluta semplicità. Sul piano collettivo, la libertà è l’autosussistenza. L’autosufficienza. Maggiore è l’autosufficienza di una comunità, maggiore il suo grado di libertà. Libertà non è dunque un assenso, ma un dissenso. Libertà è il saper dire no, con il potere che ne consegue. No al desiderio indotto. No agli immaginari indotti. Una giusta azione politica questo prevederebbe: de-colonizzare il collettivo. De-colonizzare l’Uomo.

Matteo Mazzoni

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